di Piergiorgio Raimondo
Proseguendo nella tournée in Sudamerica il F.C.Torino ottiene una prestigiosa vittoria contro la fortissima Nazionale Argentina.
L’allenatore Vittorio Pozzo, nei suoi ricordi, ecco come commenta la partita che riempì d’orgoglio i nostri connazionali in Argentina e tutti gli sportivi italiani.
Per ultimo, domenica 6 settembre, nuovamente sul campo dell’Avellaneda, incontrammo la vera Nazionale argentina, in questa formazione: Wilson (San
Isidro); Jorge Brown (Argentinos de Quilmes) e Juán Brown (Argentinos de Quilmes); Simmons (River Plate), Olazar (Racing) e Pepe (Racing); Elias Fernandez (San Isidro), Max Susan (Estudiantes de la Plata), Marcovecchio (Racing), Hospital (Racing) e Perinetti (Racing).
Da parte nostra si poté finalmente allineare la squadra al completo e scesero in campo: Morando; Capra e Bachmann; Valobra, Peterly e Lovati; Debernardi II, Mosso III, Mosso I, Tirone e Arioni II.
Fu quella, da parte del Torino, la più bella partita di tutta la serie americana. Ed assieme, la più bella di tutte le soddisfazioni.
Ad un certo momento del primo tempo, Mosso I, servito in profondità, partì da metà campo su una stessa linea coi due terzini. Più di cinquanta metri di corsa: Mosso I prese poco per volta più di un metro ai due Brown, giunse solo in area e spedì la palla in un angolo della rete. Alla ripresa, riuscì ai nostri attaccanti uno dei movimenti che erano soliti a quell’epoca, il cambiamento d’ala. Debernardi attirò su di sé il mediano Pepe, e gli allungò la palla dietro la schiena e lungo la linea del fallo, Mosso III, diventato ala per un momento, filò via come avesse le ali ai piedi e centrò lungo, a mezza altezza, leggermente all’indietro. Tirone arrivava in corsa, si fermò, indicò con la mano l’angolo alto della rete sulla sinistra del portiere, e proprio là, con l’interno del piede, mandò a finire la palla.
Due a zero, contro la Nazionale d’Argentina. Giuocavano veramente bene gli argentini, già allora, ed il successo ci riempì d’orgoglio.
Visto che di fine della guerra ancora proprio non si parlava, io avevo già rivolto la mia attenzione a Valparaiso ed a Santiago del Cile per continuare. Finché un giorno, fui chiamato d’urgenza all’Ambasciata nostra. Partiva il giorno dopo l’ultimo piroscafo italiano, il “Duca degli Abruzzi”.
Ventiquattro ore appresso eravamo tutti a bordo, bene sistemati, circondati da cure, felici come pasque. E via in alto mare. Finché dieci giorni dopo, prima di Gibilterra, non fummo svegliati da due cannonate e ci trovammo la via sbarrata da un incrociatore inglese che s’era messo di traverso sulla nostra rotta. Venne a bordo un picchetto armato, e per poco non pagai caro lo scherzo di essermi messo a parlare tedesco in presenza dell’ufficiale inglese che lo comandava: mi avevano preso per un riservista germanico e volevano portarmi via.
All’arrivo a Genova, uno degli amici che ci aspettavano sul molo agitava, nella mano, una quantità di fogli verdi e gialli. Erano i richiami per mobilitazione, od esercitazione.
Ce n’era per tutti, ci volevano da tutte le parti: 3°Alpini, 4°Bersaglieri, 5°Genio Minatori, 92°Fanteria. Impallidimmo. Quella guerra, sulla cui durata avevamo tanto scherzato, era lì, con le fauci aperte, a ghermirci.…qualche settimana dopo, fummo tutti in grigio-verde
Fonte: “I ricordi di Pozzo” di Vittorio Pozzo
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