di Domenico Beccaria
Vittorio Staccione, torinese, classe 1904, è stato un giocatore di calcio di Torino e Fiorentina. Con la maglia granata, nel 26/27, si è pure laureato campione d’Italia, titolo poi revocato per motivi estranei al calcio e a tutt’oggi oggetto di diatriba. Ma soprattutto fu uomo di impegno politico e sociale, noto antifascista e per questo tenuto d’occhio dalla polizia del regime, che più volte lo aveva tratto in arresto, fino a quel fatidico 13 marzo 1944, quando fu preso e deportato nel campo di concentramento nazista di Mauthausen, in Austria, dove perse la vita un anno dopo, il 16 marzo 1945.
Martedì 22 gennaio, in via San Donato 27 a Torino, ultimo domicilio torinese di Vittorio Staccione prima dell’arresto, è stata posta una “pietra d’inciampo” di Gunter Demnig. Si tratta di una iniziativa a cura del Museo Diffuso della Resistenza, in collaborazione con la Comunità Ebraica, l’Associazione Nazionale Ex Deportati e il Goethe Institut, sotto l’alto patronato della Presidenza della Repubblica, che vuole ricordare le vittime della deportazione nazista e fascista. Questa è una iniziativa di valore sociale e civile assoluto, ma anche relativo, applicato specificatamente al mondo del calcio.
È trascorso infatti un mese scarso, dalla guerriglia attorno a San Siro prima della gara tra Inter e Napoli tra ultrà meneghini e partenopei, in cui ha perso la vita un uomo, e dai vergognosi ululati razzisti alla volta di Kalidou Koulibaly, difensore del Napoli, la cui grave colpa consiste nel colore della sua pelle.
Perdonatemi, ma mi viene da sorridere, amaramente, al pensiero che gli ululatori razzisti nerazzurri, con ogni probabilità farebbero carte false per aver in regalo, magari autografata e dedicata, con selfie di rito durante la consegna, la maglia di uno qualsiasi dei quattro giocatori di colore che militano quest’anno nell’Inter. Chissà se dopo averla ritirata ringrazierebbero con un “buu” il negro (chiedo scusa per l’uso volutamente provocatorio di questo termine) che gliel’ha appena donata, o se lo abbraccerebbero e bacerebbero, per il preziosissimo dono da esibire ad amici e conoscenti.
Questo, ovviamente, è solo l’ultimo esempio di una lunga catena, che affonda le sue radici nell’ignoranza di chi crede di essere migliore degli altri solo per il colore della sua pelle o per le sue origini, per il suo credo politico e religioso o altre amenità del genere.
Ad ogni latitudine ci sono ebeti gonfi di ignoranza e pregiudizi, che vanno rieducati, prima ancora che puniti. Vanno costretti a riflettere sull’abissale stupidità delle loro convinzioni, sulla gigantesca vacuità delle loro sensazioni, perché definirle idee è perfino esagerato.
E quindi, da oggi e per sempre, nella memoria di Vittorio Staccione e di tante altre vittime innocenti come lui, quando passeremo dal civico ventisette di via San Donato e da tutte le vie San Donato del mondo, guardiamo bene dove mettiamo i piedi ed inciampiamo deliberatamente nelle pietre di Gunter Demnig e anzi, portiamoci ad inciampare anche i nostri figli, giovani che rappresentano il nostro futuro e nostra speranza in un mondo migliore, perché inciamparci oggi vuol dire non cadere, né domani né mai più.
Fonte: TorinOggi.it
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