di Domenico Beccaria.
Dovevo arrivare a cinquantasette anni, per provare l’emozione di essere paparazzato, ma ce l’ho fatta.
Durante un sopralluogo che segreto non era, tant’è che ci hanno beccato, ma riservato si, e sarebbe stato opportuno che lo fosse rimasto, sono stato fotografato, in buona compagnia, all’ex MOI di piazza Galimberti, due passi dal Fila, mentre si valutava la proposta di portare li il Museo del Toro, oggi a Villa Claretta ma in odore di trasferimento a Torino. Una bella imboscata mediatica, ispirata probabilmente da chi ha la speranza di portarci allo scoperto, costringerci a pubbliche riflessioni e decisioni. Peccato che i soggetti in causa, ovvero il Torino FC e il Museo, non siano politici che mendicano facili consensi elettorali e soprattutto che entrambi abbiano la pelle dura, temprata alle pressioni esterne.
Però, visto che mi ci hanno tirato dentro per i capelli (faccio anche lo spiritoso) in questo argomento, parliamone.
Credo che il mio dovere, in quanto presidente dell’Associazione Memoria Storica Granata, che ha creato e gestisce l’attuale museo, sia di tutelarne gli interessi, sotto qualsiasi forma ed in qualsiasi modo. Va da se che ho delle idee, ma come persona intelligente sono disponibile a confrontarle con quelle degli altri e metterle in discussione, proprio alla ricerca del bene supremo del museo.
Quindi, questa visita si incastra alla perfezione in questa filosofia. Sentire ogni campana, valutare quella che suona meglio e prendere delle decisioni.
Parrebbe scontato dire che siamo solo alle valutazioni preliminari e predire oggi se il museo si trasferirà li oppure no, è un azzardo, che ha stessa possibilità di azzeccare se la pallina della roulette si fermerà sul rosso o sul nero, sempre tenendo conto dell’incognita dello zero, pronta a colpire.
Ci sono, ovviamente, come in ogni medaglia, le due facce, ovvero i pro ed i contro. Se da una parte è vero che costa zero di realizzazione e poco di locazione, che sarebbe disponibile in tempi rapidi e che libererebbe l’area del terzo lotto per altre necessità del Torino FC, che potrebbe implementare l’impianto sportivo, dall’altra parte c’è il non trascurabile aspetto sentimentale che il MOI non è il Fila, che l’area non è delle più sicure e che rischia di essere una cattedrale nel deserto. Il museo li, infatti, dovrebbe essere, nelle intenzioni di chi ci ha offerto quell’area, il motore trainante della riqualificazione dell’area MOI e palazzine olimpiche ed il fiore all’occhiello di tutto un quartiere che ha più volte e da tempo palesato il suo cuore granata.
Come si capisce facilmente, non è solo una questione di spazi e di costi, sebbene questi siano importanti, ma anche di precise e vincolanti garanzie da parte dell’amministrazione cittadina che ci sia la categorica ed ineluttabile volontà politica di lavorare seriamente alla riqualificazione di tutta l’area di cui il museo dovrebbe essere il fulcro. Senza queste garanzie, l’amletico dilemma sarebbe destinato a rimanere tale.
Per quanto mi riguarda, sul futuro del Museo del Toro e di conseguenza sul rispetto che tutti quanti dobbiamo avere per la leggendaria storia del Grande Torino e per la sua conservazione, non transigo.
MOI o non MOI, ditemelo voi. Se le istituzioni politiche, cittadine e regionali, ci sono, battano un colpo.
Fonte: TorinoOggi.it
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