di Domenico Beccaria
E alla fine si è deciso. Esonerato Mazzarri, che ormai stava sulla panchina granata a dispetto dei santi e non solo, perché da quanto si evince dai racconti che gli addetti ai lavori salentini riferiscono aver udito provenire dagli spogliatoi dello stadio di Via del Mare, dopo l’ingloriosa disfatta contro il Lecce, anche i giocatori ne avevano le saccocce piene del loro allenatore.
Un Mazzarri giunto a sostituire Sinisa Mihajlovic a metà della stagione 2017/18, che non ha fatto faville nel suo primo anno, ma è migliorato nel secondo, crollando pesantemente in questo inizio di terzo, sempre senza entrare mai, nemmeno per un minuto, nel cuore dei tifosi. Un gioco sovente noioso, una scusa pronta per giustificare ogni insuccesso, senza mai addossarsi alcuna colpa. Ma soprattutto, specie in questi ultimi tempi, la chiusura costante del Fila e, ciliegina sulla torta, l’infelice battuta sulle scuse ai tifosi, ma solo quelli veri.
Insomma, un personaggio da dimenticare, che certamente non lascerà tracce né rimpianti.
Al suo posto arriva Moreno Longo, un curriculum da granata di razza, a partire dall’anno di nascita, quel 1976 che consegnò alla storia il primo e, ahimè, anche l’ultimo scudetto post Superga. Varca il cancello del Filadelfia per la prima volta nel 1988 e quella maglia granata, pur cambiando casacca per ragioni professionali, non se la sfila più dal cuore. Fa tutta la trafila dalle giovanili alla prima squadra da giocatore e ripete l’iter dopo aver appeso le scarpette al chiodo, dal 2009 al 2016 conquistando, da allenatore, scudetto e supercoppa di categoria.
Quindi il salto nel calcio professionistico, con le bianche casacche della storica Pro Vercelli e poi coi canarini del Frosinone. E oggi il ritorno a Casa.
Ci sarebbe di che far festa. E invece no.
Sono ovviamente felice che lui abbia accettato una sfida difficile, che rischia di segnare la sua carriera professionale, e lo abbia fatto sopratutto per amore dei nostri colori. Sono però spiaciuto per le modalità con cui questa scelta è stata fatta dalla dirigenza granata, presidente in testa.
I sintomi che Mazzarri fosse ormai un corpo estraneo rispetto alla squadra, erano evidenti da tempo. Le prestazioni incolori, peggio, le incredibili cadute di tensione nei momenti topici, come contro il Lecce, alla terza di campionato quando, affrontando una squadra allo sbando, potevamo cullare l’effimero piacere del primato in classifica. Piacere che avrebbe potuto durare anche la settimana successiva, quando un’altra squadra allo sbando, la Sampdoria, avrebbe potuto consentirci di allungare la striscia positiva. Invece due sconfitte oltre i limiti del credibile, ci riportavano coi piedi per terra e ridimensionavano le ambizioni di una stagione di livello superiore.
Ma d’altro canto era irragionevole pensare che una squadra che aveva affrontato i preliminari di Europa League con uno sconsolante zero alla casella acquisti nel mercato estivo, potesse andare da qualche parte. Infatti i lupacchiotti inglesi spegnevano le illusioni e chiudevano le frontiere alla truppa cairota.
Gli oltre 20 milioni spesi per Verdi, l’ultimo giorno di mercato, sembravano più uno spreco immotivato, piuttosto che un investimento per il futuro.
Tra una delusione e l’altra, si arrivava ai fatti extracalcistici della curva Primavera, gare con Napoli e soprattutto Inter, che innescavano un clima rovente nell’ambiente, di cui la squadra avrebbe fatto volentieri a meno. Gli incolpevoli tifosi si trovavano così tra l’incudine dei Daspo ed il martello dei risultati scadenti a far da innesco ad una situazione esplosiva.
Proseguiva dunque questa dolorosa salita al golgota, senza che ci venisse risparmiato nemmeno un sorso di quell’amaro calice che purtroppo abbiamo dovuto scolarci fino all’ultima goccia.
Sette gol in casa dall’Atalanta, record assoluto di tutta la storia granata (contento presidente?) quattro a Milano dai rossoneri e altri quattro a Lecce dai giallorossi salentini. Quindici reti in otto giorni, quasi una media di due al giorno, compresi quelli in cui nemmeno siamo scesi in campo. Di che andar fieri.
Eppure per decidersi a rispedire WM al mittente e cercare un sostituto si è atteso fino ad oggi. Perché?
Riprendendo l’indimenticabile Giulio Andreotti, che sosteneva che a pensare male si fa peccato ma sovente ci si azzecca, mi viene da pensare che si attendessero due cose: la fine del mercato invernale ed un adeguato casus belli.
Il mercato si è chiuso accontentando l’allenatore uscente (ma sarà poi vero?) che voleva la rosa snella, con le cessioni di Bonifazzi per 12 milioni, Iago, Parigini, Laxalt e conseguente risparmio su stipendi non pagati, per un totale di circa 15 milioni che restano nelle casse societarie.
Il casus belli ci è stato gentilmente fornito dai salentini, a digiuno di vittorie casalinghe in questa stagione, cui non è parso vero di portare a casa tre punti, pochi, maledetti e subito.
A questo punto, a buoi usciti, si è finalmente deciso di chiudere la stalla.
E qui arriva il colpo da maestro del gran comunicatore, di solito poco incline a cedere il palcoscenico ed i riflettori ad altri, ma ora ben felice di nascondersi dietro la rassicurante figura di un ragazzo del Fila come Moreno, che gli fa da scudo protettivo. Ma, nel solco di una consolidata tradizione di risparmio ed oculatezza, senza scialare, nè, che vogliamo mica fallire.
Contratto di cinque mesi e poi si vedrà. Sono contento? Sinceramente non lo so.
Mi fa certamente piacere vedere che Moreno corona il sogno di una vita, ovvero guidare quel Torino in cui calcisticamente è nato e che ama.
Mi spiace che ci sia dovuto arrivare dalla porta di servizio e non dall’ingresso principale, come avrebbe meritato.
Lo attende un compito duro, che non è semplicemente portare alla salvezza prima e ad una posizione di classifica più consona poi, una squadra che sta insieme con lo spago ma tutto sommato non è peggio di tante altre in serie A, quanto di trasformare il socio unico del Torino Football Club S.p.A. nel presidente del Torino.
Che significa che il pareggio di bilancio non è l’obiettivo primario, che comunque non si deve ottenere risparmiando anche sulla carta igienica, ma investendo per ottenere risultati che, come ci ha dimostrato l’Atalanta, non sempre sono direttamente proporzionali al fatturato, ma che pagano sempre, direttamente in termini di contributi UEFA per partecipazioni alle coppe ed indirettamente con il valore del brand da vendere agli sponsor. E non ultimo con aumento del bacino d’utenza, che vuol dire maggiori ricavi televisivi e di botteghino.
E se poi i tifosi a posto di vivere a pane e Maalox per rimediare ai mal di stomaco causati dalle arrabbiature, avessero anche qualche gioia, nessuno si metterebbe a piangere.
Ma vaglielo a far capire, caro Moreno, al tuo presidente…
fonte: Torinoggi.it
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