di Domenico Beccaria.
Ci sono persone di cui ti ricordi perfettamente la prima volta che le hai incontrate, altre invece che sembra che abbiano sempre fatto parte della tua vita, pur magari non essendo in primo piano o non avendo con esse un rapporto continuativo, ma che ti hanno lasciato dentro qualcosa.
Sergio Vatta, per me, fa parte di questa seconda categoria.
Le nostre frequentazioni più intense sono iniziate dopo la chiusura del Filadelfia e la nascita dell’Associazione Memoria Storica Granata, sorta proprio in seguito alla chiusura del nostro Tempio, per preservare e tramandare la memoria in esso contenuta.
Ovviamente i panni del maestro, come giusto e logico che fosse, li indossava lui ed io ero ben felice di poter ascoltare, pendendo dalle sue labbra, aneddoti di vita granata ed insegnamenti di arte calcistica.
Panni peraltro lisi, giusto per ricordare un suo aneddoto: mi raccontò infatti che una volta, a seguito di un colloquio telefonico, diede appuntamento ad una persona al Filadelfia, dicendogli “mi trova lì in uno di due campi, più facilmente quello secondario”. “E come la riconosco?” obiettò costui. “Facilissimo – rispose Vatta – sono quello con la tuta più consumata e più rattoppata”, perché mentre ai giovani calciatori che transitavano dalle giovanili per poi proseguire o in prima squadra o a cercare fortune calcistiche altrove, la tuta non faceva a tempo a consumarsi, a lui che era lì da così tanto tempo che ormai era parte del vecchio Fila, come le tribune in legno o i due palloni in cemento ai lati degli accessi alle tribune, la tuta non la cambiavano mai e toccava rammendarla. Gli risposi, molto seriamente: “bandiera vecchia, onore di capitano”. Sorridemmo entrambi, capendo che la stoffa di cui eravamo fatti era molto simile, essendo entrambi più attenti alla sostanza che alla forma.
Sergio era sempre presente alle iniziative che soggetti diversi, tra cui anche il nostro museo, in modi e posti diversi, organizzavano a favore della rinascita del Filadelfia e alla valorizzazione del suo patrimonio culturale ed umano. Non si negava mai e portava sempre la sua carica umana a tutti, giovani in particolare, che considerava la speranza per il futuro.
Al Museo del Grande Torino gli dedicammo una mostra, per celebrare la grandezza sua e del suo operato e lui, generosamente, ci concesse in esposizione per tutto il periodo i suoi cimeli più cari, raccomandandosi di averne la massima attenzione.
E sempre al museo ci fu la presentazione del docufilm “Sergio Vatta, l’allenatore dei sogni”, dedicato alla sua carriera di allenatore ed alla sua storia di uomo. Una storia umana sofferta, che lo vide nel secondo dopoguerra tra i molti esuli fiumani a Torino, vittime delle persecuzioni e degli infoibamenti perpetrati dai partigiani comunisti di Tito. Sergio fu sempre orgoglioso portabandiera della sua gente e combattè a lungo per vedere ricordate e riconosciute le sofferenze del suo popolo, fino ad averne soddisfazione, purtroppo solo in tempi recenti.
Il suo vissuto di gioventù gli insegnò l’umiltà e la capacità di raggiungere i risultati attraverso il duro lavoro quotidiano, ben sapendo che nessuno ti regala nulla. Il suo palmares, d’altronde, parla per lui: con la Primavera granata vinse due campionati, sei coppe Italia e quattro tornei di Viareggio, portando il settore giovanile granata a livelli di eccellenza e fama internazionali mai più raggiunti dopo di lui.
Il suo segreto, oltre all’impegno quotidiano, stava nell’empatia che sapeva creare con i suoi giovani discepoli.
L’insegnamento più grande che abbia ricevuto da lui è stato proprio questo, la sensibilità con cui trasmetteva il suo sapere: “se tu dici ad un bambino di fare una cosa in un certo modo, magari lui imparerà anche a farla, ma non la sentirà mai sua e la ripeterà come un gesto meccanico, salvo farla male nell’occasione in cui invece conterebbe farla bene. Se tu invece gli dai uno stimolo di riflessione per farcelo arrivare da solo, la sentirà sua e la farà sempre spontaneamente e bene”.
La soddisfazione più grande che ho avuto da lui, purtroppo è stata postuma e quindi non l’ho potuto ringraziare adeguatamente. Ho scritto a suo figlio Luigi per fargli le mie condoglianze e scusarmi di non poter presenziare al funerale. La risposta di Luigi è stata commovente: “io ti ringrazio tantissimo, con tutto il mio cuore. Per il tuo pensiero e per quello che fai tutti i giorni. Il Museo è il vero Toro, lo dicevamo sempre tra noi. Grazie.”
Grazie a te, Luigi, per averci condiviso questo pensiero, di cui tutti noi, volontari del Museo del Grande Torino e della Leggenda Granata, non possiamo che essere fieri e che costituirà per noi un ulteriore motivo per proseguire con tutto l’impegno possibile per completare il Filadelfia, portare il museo li, a casa sua, e continuare a rendere omaggio e gloria a tutti quelli che negli anni, con le loro opere hanno scritto le pagine più belle della nostra storia leggendaria, rendendola immortale.
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