di Domenico Beccaria dalla Rubrica Immortali di Torino Oggi.

In questa pasquetta già così triste di suo, con questa maledetta pandemia che ci tiene chiusi in casa, tra il timore del contagio ed il dolore per chi soffre, un altro motivo di dispiacere va ad aggiungersi. Ci ha lasciato Piero Gay.

Ottantaquattro anni compiuti, già da qualche tempo non era più in perfetta forma e questo virus infame si è portato via anche lui.

Tra la fine degli anni ottanta e l’inizio dei novanta, è stato con Colombo prima e Gambucci poi, uno dei pionieri delle trasmissioni granata sulle emittenti locali. Tempi diversi, dove non esistevano quasi le interviste esclusive, come oggi dove invece tutto è rigidamente regolamentato, ogni parola ed ogni immagine centellinate, monetizzate.

L’appuntamento settimanale con Tuttotoro, su Teletime, era l’occasione per vedere e sentire, dal vivo ed in maniera ruspante, i campioni che giocavano in prima squadra, gli allenatori e altri personaggi del mondo granata a tutto tondo.

E fu proprio Piero, tramite la comune amicizia di Simona Cavallo, che dava un tocco di femminilità alla conduzione del programma, che mi invitò le prime volte in televisione a parlare di Toro. All’inizio l’argomento erano i miei amici inglesi, che nel 1991 avevano fondato il Toro Club England, di cui ero stato promosso seduta stante vice presidente, perché parlavo la loro lingua ed avevo in casa il fax, strumento all’epoca importantissimo per comunicare, a basso costo ed alta velocità, con l’Inghilterra. Poi la battaglia per il Filadelfia, di cui Piero fu acceso sostenitore e prezioso megafono mediatico.

Poi qualche delusione di troppo lo allontanò da un mondo che stava cambiando, dal granata delle maglie al dorato del denaro, ed in cui probabilmente non si riconosceva più.

Ma sempre nel suo cuore restava forte e salda la passione per quella squadra che aveva visto tessere, sul prato del Fila, trame di irresistibile forza calcistica, per poi scomparire nel rogo di Superga. E quanti ricordi anche dopo.

Come Carla Maroso era la “madrina” del Museo, lui ne era il “padrino” e sovente ci dava suggerimenti e consigli, incoraggiamenti a tenere duro.

Negli ultimi anni ci sentivamo soprattutto per telefono, e l’argomento principe era il Filadelfia, cui lui era ovviamente legatissimo. Mi chiedeva notizie sugli sviluppi, arrabbiandosi quando non erano buone, rallegrandosi quando lo erano e sempre concludendo la telefonata con la stessa frase: “e ‘m racômandô, Mecu, ten dür, mola nen che ej sôma quasi!”. Lo rassicuravo che saremmo arrivati alla rinascita del Tempio e così è stato. Purtroppo la sua salute, già malferma, non gli aveva consentito di gioirne di persona, ma il suo cuore era lì con noi.

Oggi, con la sua scomparsa, se ne va un altro pezzo di quella memoria, di quel cuore granata, che ai giorni nostri sono ormai così rari, ed al contempo cosi preziosi, per restituire vivacità a quel colore granata sempre più stinto e tendente al rosa.

Ma, ahimè, l’anagrafe è crudele ed il virus implacabile, specie verso quelli avanti con l’età e così non ci resta che pensarlo, finalmente libero dai vincoli terreni, ma felice di rivedere i suoi Eroi Immortali.

Ci sarà anche un giorno, finito tutto questo, in cui potremmo tributarti gli onori che oggi ti sono temporaneamente negati.

In attesa di quel momento, ti sia lieve la terra, Piero.

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