Da Lisbona un importante attestato per il lavoro svolto in questi 25 anni dall’Associazione Memoria Storica Granata

L’altro giorno ci è arrivato da Lisbona un bel pacco postale. Più imballo che altro, a dire il vero, ma il contenuto, sebbene non fragile, era prezioso e meritava di essere protetto adeguatamente.

In quel pacco c’erano quasi venticinque anni di sogni e speranze, lavoro e fatica, passione e sudore. In parole povere, da Lisbona, sede dell’ISMA, International Sports Museum Association, c’era l’attestato di partecipazione alla fondazione di questo ente, una chiavetta usb con le immagini della cerimonia e la nostra card associativa, con il logo del nostro Museo al centro.

Quanto basta, per un Museo piccolo, ma al contempo immenso come il nostro, per gonfiare il petto ed andare in giro fieri di noi stessi. Se questa frase vi suona come immodesta, pazienza. Non me ne scuso affatto, anzi, me ne vanto. Sono infatti venticinque anni che l’Associazione Memoria Storica Granata si è messa sulle spalle un fardello pesante ma glorioso, che si è assunta il ruolo di leader culturale del calcio italiano.

Siamo stati i primi in Italia a fondare un museo di calcio dedicato alla storia di una squadra di club. Siamo stati tra i fondatori della Federazione Italiana dei Musei del Calcio. E ora siamo tra i fondatori dell’ISMA, oltre che unico socio italiano, tra i più bei nomi del calcio mondiale.

E se tutto ciò è per noi motivo di immenso orgoglio, dovrebbe anche essere per il calcio italiano motivo di profonda riflessione.

Com’è infatti possibile che, con società calcistiche economicamente predominanti, come Milan e Juventus, che hanno fior di musei allestiti spendendo cifre faraoniche rispetto ai quattro soldi con cui, con molta fatica e sacrificio, noi abbiamo dato vita al nostro, tocchi sempre a noi fare da alfiere del vessillo culturale calcistico tricolore, da apripista di tutte queste iniziative mirate a riportare nel calcio valori antichi e moralmente indiscutibili, a combattere la violenza e l’odio che ogni giorno ammorbano i nostri stadi, rendendoli luoghi da cui le famiglie e la gente perbene si tengono prudentemente a distanza?

Una domanda a cui, sinceramente, faccio fatica a trovare risposte sensate. Ma altrettanto sinceramente, da questo assordante silenzio che semina dubbi, ne traggo invece certezze che alimentano la mia, la nostra volontà di proseguire su questo nostro cammino, così ricco di difficoltà ed ostacoli e così povero di riconoscimenti.

Mi pare ormai sia chiaro a tutti che quello che facciamo non abbia fini di lucro, ma affondi le sue radici nella passione e nell’amore verso la Storia e la Leggenda del Toro e si nutra di quel rispetto verso tutti gli avversari che è il fondamento stesso dello sport. Quel rispetto che pretendiamo verso i nostri ragazzi che non ci sono più e che, ovviamente e giustamente abbiamo verso tutti gli altri che nella loro storia sono stati altrettanto duramente colpiti.

Se il futuro del mondo, non solo calcistico, sta nel “fare rete” per unire gli sforzi e conseguire gli obiettivi, sono certo che noi rete l’abbiamo fatta, anche in senso calcistico, segnando i goal più belli che si potessero immaginare.

Fonte: TorinoOggi.it

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