di Patrick Jennings
BBC Sport
08/01/2019
https://www.bbc.com/sport/football/46788983
Bill Lievesley era appena tornato a casa da scuola quando sua mamma entrò e gli disse: “la gente sta dicendo che c’è stato un incidente aereo”.
Subito alle porte di Torino, il relitto di un aeroplano giaceva bruciando lentamente sulla collina di Superga, a un’altezza di 700 m circa dietro la gigantesca basilica che sovrasta la città.
Passando in mezzo alle valigie e ai corpi, i ricercatori identificavano infine le vittime e iniziavano a capire che tra i 31 morti vi erano gli invincibili campioni della Serie A, il Grande Torino.
Era il 4 maggio 1949 e il Torino stava per vincere il suo quinto scudetto consecutivo. Con quattro partite della stagione rimanenti, la squadra era volata a Lisbona per giocare una partita di tributo per un giocatore del Benfica.
Sulla strada del ritorno, quasi l’intera squadra rimase uccisa, inclusi l’allenatore ungherese-ebreo che era fuggito dai nazisti e l’allenatore inglese Leslie Lievesley, un ex difensore del Manchester United che era incredibilmente sopravvissuto a tre incidenti aerei precedenti. Suo figlio Bill stava per compiere 11 anni.
Quel tardo pomeriggio, la notizia si diffuse velocemente in tutta la città del Nord Italia. Entro sera raggiunse Sauro Tomà, un difensore che non aveva viaggiato con i suoi compagni di squadra a causa di un infortunio. Moltissimi tifosi sopraffatti dall’emozione si radunarono attorno a lui per strada. Prima della sua scomparsa nel 2018, all’età di 92 anni, disse che viveva come uno “condannato a sopravvivere mentre i miei fratelli erano morti”.
L’aereo aveva colpito il retro del muro della basilica, nel pieno di una spessa nebbia. Successivamente si determinò che un malfunzionamento delle apparecchiature dovevano avere portato il pilota a ritenere di essere ben lontano dall’edificio, realizzando la verità solo quando era troppo tardi.
Due giorni dopo l’incidente, mezzo milione di persone invase le strade in occasione dei funerali. Al Torino venne assegnato il titolo di campione d’Italia, su richiesta delle squadre rivali. Soltanto il fato li vinse, si disse. La squadra passò alla leggenda non come Invincibili, bensì come Immortali.
La stagione successiva, a ciascun club di Serie A venne imposto di regalare un giocatore al Torino per aiutarne la ricostruzione. Il titolo 1949-50 venne vinto dalla Juventus, mentre il Torino finì sesto. Da allora, esso vinse il campionato soltanto una volta, nel 1975-76, il settimo titolo nella storia del Club. In questa stagione, i rivali cittadini della Juve hanno nel mirino il loro ottavo titolo di fila e 35º totale.
Il disastro di Superga è fondamentale per l’identità di Torino, e la sua eredità non è dimenticata. Ogni anno si riuniscono in migliaia nel luogo in cui cadde l’aeroplano. Quest’anno sarà il 70º anniversario e Bill Lievesley sarà tra i presenti.
Egli ritornò la prima volta per il 60º anniversario, nel 2009. Non riesce a dire davvero perché non lo avesse fatto prima. “Me l’ero detto per così tanto tempo, adesso lo faccio, adesso lo faccio. Lo dovevo davvero a mio padre, e dovevo farlo in modo appropriato” ha dichiarato a BBC Sport.
In quel suo primo viaggio di ritorno, 10 anni fa, Bill camminò fino su a Superga e ritornò giù in città due volte in due giorni. Sono circa 10 km dal centro di Torino, su per strade tortuose che portano alla vetta che fa da traguardo alla corsa ciclistica Milano-Torino. Si è letteralmente consumato le suole delle scarpe.
Lo abbiamo incontrato dove vive ora, in Inghilterra. Il giorno sta per finire mentre parliamo comodamente nel suo soggiorno, bevendo caffè. Bill ha 80 anni e sprigiona calore in un pomeriggio particolarmente freddo nel sud Yorkshire, guardando verso un tempo in cui Torino era la sua casa.
Lungo il corridoio e su per le scale c’è la sua “galleria di birboni”. Vi sono foto di suo padre, Leslie, da giocatore del Doncaster Rovers e in una foto di squadra del Manchester United, insieme ad immagini di suo nonno Joe, portiere dello Sheffield United e dell’Arsenal.
Leslie Lievesley portò sua moglie e il suo giovane figlio in Nord Italia nel 1947, quando lasciò il suo primo lavoro come allenatore degli olandesi dell’Heracles Almelo per unirsi al Torino, avendo declinato un’offerta dal Marsiglia.
L’allenatore inglese si stava unendo a una squadra già di successo. Il Torino fu la prima squadra italiana a vincere il double campionato-coppa nel 1943, l’ultima stagione prima che la Serie A si fermasse per due anni durante la seconda guerra mondiale. Quella squadra detiene ancora tre importanti record del calcio italiano.
Nel 1947-48, il Torino segnò 125 gol in 40 partite finendo con una differenza gol record di +92 sulla strada verso il loro quarto titolo in altrettante stagioni. Fino al disastro di Superga non avevano perso in casa per più di sei anni, mentre la loro vittoria per 10-0 sull’Alessandria nel maggio 1948 rimane quella con maggior margine nella storia della Serie A.
Questa età dell’oro per il club deve molto al suo presidente, Ferruccio Novo, che aveva acquistato con determinazione alcuni dei migliori giocatori del paese, incluso Valentino Mazzola, la star del Torino che divenne capitano della Nazionale. Toccò a Novo (N.d.T. – in realtà a Vittorio Pozzo) identificare ufficialmente i corpi della squadra che aveva assemblato con amore. Mazzola chiamò uno dei suoi figli con il suo nome.
Novo non era presente in quel viaggio fatale a causa di un principio di influenza. Avendo fallito il quasi impossibile compito di ricostruire la squadra dopo l’incidente, si dimise da presidente del Torino nel 1953, tre anni dopo aver portato l’Italia alle finali dei Mondiali. Gli azzurri viaggiarono in Brasile in nave anziché in aereo.
L’altra fondamentale figura influente per i successi del club era Erno Egri Erbstein, l’allenatore ungherese della squadra che era stato obbligato a ritornare nel suo paese natio a seguito delle leggi razziali del 1938 che privarono gli ebrei della cittadinanza italiana sotto Benito Mussolini.
Erbstein fuggì da un campo di concentramento nella Budapest occupata dai nazisti, come viene descritta in dettaglio nel libro Erbstein: The Triumph and Tragedy of Football’s Forgotten Pioneer. Sarebbe ritornato a Torino dopo la guerra proseguendo a vincere partite di calcio secondo i suoi ideali di attacco, con l’aiuto del suo allenatore inglese.
“Papà probabilmente pensava di poter battere Hitler con una sola mano”
Nato nel 1911, Leslie Lievesley iniziò ad allenare dopo che la sua carriera da giocatore venne accorciata dalla guerra. Era al Crystal Palace e Bill era un bambino a Croydon quando nel 1939 firmò per arruolarsi nella Royal Air Force. Divenne ufficiale di invio dei paracadutisti, spesso implicato in missioni di invio di soldati, e talvolta spie, dietro le linee nemiche.
In una di queste sortite, essendo stati obbligati a ritornare alla base prima di completare il lancio, il suo aereo venne abbattuto sopra Middle Wallop, appena a nord di Southampton, dalla contraerea statunitense. Il fuoco amico. Tutti a bordo vennero uccisi, a parte Leslie che riuscì a scamparla. “Era duro come l’acciaio” dice Bill di suo padre. “Papà probabilmente pensava di poter battere Hitler con una sola mano”.
Ci fu un secondo incidente in guerra, sebbene Bill non riesca a ricordarne i dettagli. Il terzo al quale Lievesley sopravvisse avvenne nel 1948 quando, viaggiando con la squadra giovanile del Torino, i freni dell’aereo ebbero un’avaria durante l’atterraggio all’aeroporto di Torino. Il disastro venne evitato grazie a un’ala che urtò un hangar, rallentando l’aeroplano prima che esso potesse colpire l’edificio del terminal.
Quello stesso anno, l’Inghilterra viaggiò a Torino per giocare contro l’Italia. Sette della squadra del Torino vennero schierati contro gli inglesi guidati dal portiere e capitano Frank Swift che, in qualità di giornalista, perì nel disastro aereo di Monaco del 1958. Stanley Matthews giocava all’ala e Tom Finney segnò due volte in una vittoria per 4-0.
A quel tempo Lievesley allenava anche l’Italia che dopotutto era essenzialmente la squadra del Torino, talvolta (N.d.T. – in realtà, soltanto una volta) includente tutti i 10 giocatori di movimento del Club. Bill ricorda che la pesante sconfitta da parte dell’Inghilterra danneggiò poco, se non affatto, la reputazione di suo padre, aumentando soltanto il desiderio di apprendere dagli inventori del gioco.
Lievesley sembrava godere sempre del sostegno di quelli a cui interessava di più, i giocatori. Secondo Bill, furono i giocatori del Torino a chiedere che egli venisse promosso alla prima squadra, avendo osservato il suo buon lavoro con i giovani.
Da pavimenti di marmo a una casa di minatori col water esterno
Da bambino, Bill era spesso presente alle sessioni di allenamento di suo padre, “quando mia madre ne aveva abbastanza di me” dice. Poteva guardare suo padre lavorare, oppure calciare una palla insieme agli altri bambini nel cortile del vecchio Stadio Filadelfia di Torino. Esso venne chiuso nel 1963 e giacque in stato di abbandono per anni. Ha riaperto nel maggio 2017 e viene ora nuovamente usato in qualità di campo di allenamento.
Bill dice di non essere mai stato un gran calciatore. Il ciclismo era più nelle sue corde: ha disputato due volte il giro di Gran Bretagna. Tuttavia vi sono state volte in cui si è chiesto, e se? E se suo padre avesse invece scelto di accettare il lavoro al Marsiglia, per esempio. E se sua madre fosse rimasta in Italia?
“Alcune persone pensarono che non avrebbe dovuto andarsene, ma decise che avrebbe riportato mio padre a casa per essere sepolto con suo padre e i suoi fratelli”, egli dice.
“Per essere franco, avrei voluto che fossimo rimasti lì, ma lei fece ciò che riteneva il meglio in quel momento.
“Il ritorno in Inghilterra non fu particolarmente facile. All’inizio vivemmo con mia nonna a Rossington, non lontano da Doncaster. Non era come il nostro appartamento a Torino con i pavimenti in marmo, era una casa di minatori.
“In Italia mia mamma e mio papà avevano una sorta di stile di vita da celebrità. Gianni Agnelli, il futuro capo della Fiat, era un grande amico di mio padre. Gli offriva sempre un’automobile ma lui non ne accettò mai una, diceva che rendevano le persone pigre. Tutti i giocatori andavano sempre in bicicletta in città.
“Rimanemmo con mia nonna per circa un anno. Fu un periodo strano per me, come se stessi vagando in un sogno. Penso che in realtà vivevo giorno per giorno. Così è come isolarsi un po’, non è vero?
“Mi iscrissero all’esame finale delle elementari che ovviamente fallii miseramente. Sapevo tutto di Garibaldi, ma non molto di libbre, sterline e penny. Era tutta roba ignota per me.
“La casa era molto piccola, niente bagno, niente elettricità, il water era fuori, ma mi ci abituai. Poi mia madre ottenne un risarcimento economico – dalla compagnia aerea o dal club, non sono certo – e comprammo una casa a Doncaster.
“Ero molto dipendente da mia madre, sarei stato molto più felice se mio padre fosse stato presente. L’ho conosciuto soltanto per quei pochi anni dopo la guerra. Questa è la parte triste di ciò”.
Durante le brevi ore in cui ho visitato Superga, essendo arrivato in auto e non a piedi, l’aria era frizzante e la luce del sole particolarmente luminosa mentre rifletteva le spettacolari Alpi coperte di neve in lontananza. Era difficile immaginare le viste e i suoni terribili di quel giorno disastroso, quando il piccolo aereo passeggeri trimotore Fiat del Torino venne immediatamente distrutto in un impatto diretto con l’edificio sacro che fa la guardia sulla spettacolare valle sottostante.
Vi è un monumento alla memoria contro la parete posteriore dove venne giù l’aereo. Tifosi di calcio di tutto il mondo sono venuti qui per anni a porgere omaggio e hanno lasciato sciarpe di molti colori differenti. Una volta c’era un museo all’interno della basilica stessa, prima di essere obbligato a spostarsi, ed è ora ospitato in uno spazio molto più grande a Grugliasco, alla periferia di Torino.
Stranamente, il club stesso non offre alcun sostegno ufficiale, finanziamento o incoraggiamento al museo. Infatti moltissimi oggetti, cimeli dell’età d’oro del Torino, sono stati gettati via e lasciati abbandonati da un precedente proprietario del club. Essi sono ora fieramente esposti nel museo gestito da dozzine di volontari appassionati. Essi hanno aiutato a mantenere viva la memoria del grande Torino, non soltanto per un giorno di maggio.
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